“A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar
venite con me nel mio mondo fatato per sognar
non serve l’ombrello, il cappottino rosso o la cartella bella per venire con me
basta un po’di fantasia e di bontà”
Cosa vi fa venire in mente questo ritornello? Probabilmente nulla per i Millennials e per i tutti nati dal 2000 in poi. Per chi vi scrive e per quelli delle generazioni vicine invece significa tornare con la memoria alle Fiabe Sonore, ritrovandosi bambini operosi col proprio mangiadischi e sognanti nell’ascoltare il 45 giri della propria fiaba preferita. Il mio mangiadischi era di un bel colore arancione e il disco di Biancaneve ad un certo punto era così consumato che l’introduzione del cantastorie “saltava ad ogni secondo”. Così sembrava a chi distratto lo ascoltava dalla porta accanto: per me era sempre la solita, bellissima, storia della ragazza dai capelli d’ebano e con quella matrigna tanto perfida ed invidiosa della sua bellezza. E tanto consumati erano anche i miei libri di fiabe che furono il mio primo stimolo per imparare a leggere, così da poter immergermi in quelle pagine in tutta autonomia.
Che hai bambini piacciano le fiabe non è una novità, anzi è una storia vecchia che risale ai primi dell’Ottocento, quando Jacob Ludwig Karl Grimm e Wilhelm Karl Grimm, meglio noti come i fratelli Grimm, iniziarono a raccogliere racconti popolari ben più antichi, componendo alcune di quelle che ancora oggi sono le fiabe più conosciute e proposte anche al di fuori delle pagine di un libro, basti pensare a Cenerentola o a Biancaneve e i sette nani. La cosa curiosa è che i fratelli Grimm, linguista uno e filologo l’altro, non avevano alcuna intenzione di scrivere racconti per bambini, quanto di contribuire alla nascita di una identità germanica. All’inizio del XIX secolo infatti la Germania era frammentata in centinaia di principati e piccole nazioni, unificate solo dalla lingua tedesca e i fratelli si diedero da fare per redigere un primo dizionario della lingua moderna in 33 volumi, che è ancora oggi considerato la fonte più autorevole per l’etimologia dei vocaboli tedeschi. La produzione di storie di fatto era solo una parte della loro produzione letteraria. Le fiabe dei Fratelli Grimm sono tendenzialmente tenebrose, con particolari a tinte forti, e già al tempo delle prime pubblicazioni sollevarono un dibattito sulla necessità di un certo adattamento per il pubblico infantile. Così però rispondono in “La principessa pel di topo” (1818):
«La differenza tra le fiabe per bambini e quelle del focolare e il rimprovero che ci viene mosso di avere utilizzato questa combinazione nel nostro titolo è più una questione di lana caprina che di sostanza. Altrimenti bisognerebbe letteralmente allontanare i bambini dal focolare dove sono sempre stati e confinarli in una stanza. Le fiabe per bambini sono mai state concepite e inventate per bambini? Io non lo credo affatto e non sottoscrivo il principio generale che si debba creare qualcosa di specifico appositamente per loro. Ciò che fa parte delle cognizioni e dei precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da grandi e piccoli, e quello che i bambini non afferrano e che scivola via dalla loro mente, lo capiranno in seguito quando saranno pronti ad apprenderlo. È così che avviene con ogni vero insegnamento che innesca e illumina tutto ciò che era già presente e noto, a differenza degli insegnamenti che richiedono l’apporto della legna e al contempo della fiamma. »
Gli autori in questo inciso ci portano un messaggio davvero rivelatorio: le fiabe non sono cose da bambini poiché esse contengono tematiche universali che appartengono alla realtà psichica dell’essere umano, indipendentemente dalla sua età anagrafica. Le fiabe sono metafore della vita, raccontano qualcosa di noi, e soprattutto ci aiutano a crescere.
Fermati un attimo e chiediti: qual è la fiaba che più ti ricordi? Qual è il personaggio che ti viene più spesso in mente quando pensi alle fiabe? E in cosa ti assomiglia? Anche se vi fanno sorridere provate comunque e rispondere a queste domande e poi continuate la lettura.
La consolatoria ripetitività della trama delle fiabe
Anche se non siamo stati assidui lettori o ascoltatori di fiabe non ci viene difficile pensare che le fiabe finiscono per lo più tutte allo stesso modo: ”E vissero felici e contenti!”. E quante volte magari prendiamo con ironia questa formula facendo il paragone con la nostra vita e le sue vicissitudini esclamando:”Non siamo mica in una fiaba qui!”. Vladimir Jakovlevic Propp, un linguista e antropologo russo, con il suo libro “La Morfologia della Fiaba”, pubblicato per la prima volta nel 1928, portò alla conoscenza del pubblico una precisa analisi strutturale di più di cento fiabe della tradizione popolare russa, sintetizzando che, alla fine, tutte le fiabe possiedono una medesima trama e i loro personaggi, seppur diversi, condividono un numero limitato di funzioni (precisamente 31).
Volendo dare una schematica traccia della trama di una fiaba-tipo troviamo:
- La situazione iniziale in cui vengono elencati i membri della famiglia o semplicemente viene introdotto il futuro eroe. In questa fase Propp introduce le funzioni preparatorie che anticipano la fase successiva, tra le quali “L’allontanamento” o “La sciagura preliminare”. Hansel e Gretel a cui è morta la mamma vivono serenamente col padre e la matrigna finchè non incombe una carestia e la matrigna pensa bene di liberarsi dei marmocchi.
- L’esordio ovvero l’azione vera e propria, che parte sempre da un danneggiamento o dall’affrontare un problema. La funzione più importante di questa fase è La partenza, il protagonista che abbandona la casa. La perfida matrigna caccia di casa Biancaneve e la allontana nel bosco, intimando al cacciatore di ucciderla. Questo è il momento più buio della fiaba, di maggiore disperazione e sconforto.
- L’ottenimento del mezzo magico. Interviene ora nel racconto un nuovo personaggio: il donatore, da cui l’eroe otterrà un oggetto magico e darà una svolta alla sua disperazione. Aladino che nel buio della grotta trova una lampada, sfregandola compare un genio, il quale, mettendosi al suo servizio gli dice che può chiedere tutto ciò che desidera.
- L’acme della fiaba cioè il momento di maggiore emozione del racconto all’interno del quale l’eroe combatte il cattivo e rimedia alla mancanza iniziale. Qui l’eroe è trasformato grazie al mezzo magico ricevuto e può riscattarsi. Cenerentola, sporca di cenere e vestita di cenci, prova la scarpetta di cristallo e tra lo stupore di tutti riesce a calzarla.
- La conclusione in cui il protagonista finisce il suo viaggio e la narrazione chiude il cerchio. Alcune fiabe terminano con la funzione Nozze, altre invece con una seconda Persecuzione dell’eroe e danneggiamento, riprendendo la narrazione dal punto 3 fino ad una nuova conclusione. Raperonzolo che ritrova il suo amato principe nel deserto con gli occhi feriti per aver affrontato la Strega nella torre; piangendo insieme a lui, fa cadere le proprie lacrime sui suoi occhi, rendendogli così la vista. Il Principe la porta nel suo regno, dove vivono per sempre felici e contenti.
Proviamo a collegare l’ingente lavoro di Propp agli studi di Jung sull’inconscio collettivo e la sua struttura archetipica. Secondo Jung infatti ogni essere umano è chiamato a seguire un processo di individuazione per raggiungere la totalità della propria personalità, il proprio Sé, incontrando nel suo cammino alcuni personaggi, gli archetipi appunto, che possono supportarlo o ostacolarlo nelle diverse fasi. Jung definì archetipi gli elementi strutturali dell’inconscio sostenendo che essi corrispondono a elementi strutturali collettivi dell’anima umana. L’archetipo è una immagine interiore che agisce attivamente sulla psiche umana operando una progressiva evoluzione della personalità esattamente come le strutture biologiche promuovono il metabolismo e lo sviluppo fisico. In seguito ispirandosi alla teoria junghiana Joseph Campbell formulò il Viaggio dell’Eroe, un processo psicologico verso l’autorealizzazione di sé, caratterizzato da tre tappe: la partenza, il viaggio, il ritorno.
Ecco allora che le fiabe sono una manifestazione narrativa di quello che accade nella nostra mente nel momento in cui affrontiamo il nostro viaggio e determiniamo il nostro futuro. Le fiabe ci ricordano che siamo in viaggio e ci danno anche la speranza di un lieto fine, da conquistare tuttavia solo dopo un passaggio di sofferenza. Cosa c’è di più reale di questo? Abbiamo già molte volte scritto in questo blog che il percorso di realizzazione di sé parte da un momento di buio, di fatica, ma è proprio lì che troviamo le energie per riscattarci. E quindi che cosa rappresenta il mezzo magico delle fiabe se non la nostra voglia di farcela, di uscire dalle grotte della disperazione per affrontare il contesto che ci è cambiato sotto i piedi, o superare una mancanza che ci ha scombussolato l’esistenza? Di fatto chi vede riflesso Aladino quando strofina la lampada polverosa se non se stesso?
Le fiabe sono una cosa da grandi?
E ai nostri bambini quindi cosa raccontiamo se le fiabe non sono per bambini? Qualcuno infatti potrà sentirsi disorientato alla luce di queste riflessioni “adulte” sul tema. La mia opinione e quella di ben più illustri autori è che per il bambino la fiaba ha una funzione importantissima: attiva l’immaginario, sostiene i meccanismi di crescita psicologica e li avvicina indirettamente e per gradi a quello che potranno affrontare nel mondo reale. «Il succo di queste fiabe non è la morale, – scrive Bettelheim – ma piuttosto la fiducia di poter riuscire. La vita può essere affrontata con la fiducia di poter sormontare le sue difficoltà o con la prospettiva della sconfitta: anche questo costituisce un importantissimo problema esistenziale». L’insegnamento più grande delle fiabe può essere espresso nella pedagogia della riuscita, proprio perché portano esempi che rappresentano una vittoria sul male.
Per questo le fiabe meritano di essere raccontate ai bambini nella loro interezza strutturale. A tal proposito vi regalo un siparietto personale: mia figlia all’età di 4 anni stava ascoltando affascinata la nonna paterna che le raccontava la fiaba di Cappuccetto Rosso, una nonna un po’ in difficoltà nel leggere che il cacciatore sarebbe andato a squarciare il ventre dell’animale per cavar fuori nonna e nipotina. Tant’è che omise quel passaggio dicendo frettolosamente che “Il lupo scomparve e riapparvero Cappuccetto Rosso e la nonna”: a quel punto mia figlia le chiede: “Nonna perché nel tuo libro il lupo non muore?” I bambini hanno invece bisogno di passare attraverso la storia e la sua ripetibile struttura, che abbiamo definito appunto consolatoria. Quindi non priviamoli della soddisfazione di arrivare al finale dopo aver immaginato la fatica e, perché no, il dramma dell’eroe. Il momento della fiaba, inoltre, rafforza il legame con l’adulto essendo “lo strumento ideale per trattenere con sé l’adulto” scrive Gianni Rodari, osservando come “il bambino sia interessato non solo alle forme dell’espressione, ma alla sostanza dell’espressione, cioè alla voce materna, alle sue sfumature, volumi, modulazioni”.
Una vita da fiaba
Per concludere in che modo, noi grandi, possiamo utilizzare la metafora delle fiabe per darci una mano durante la nostra crescita?
- Imparando a riconoscere le fasi che stiamo vivendo: siamo alla scena iniziale? Forse abbiamo incontrato il lupo? Dobbiamo ancora trovare il mezzo magico?
- Rispettando con pazienza la sequenza degli eventi: se la balena ci ha appena inghiottito siamo solo a metà della storia!
- Usando al meglio le nostre risorse, andando a cercare anche quelle più recondite perché si trasformino in potere, per darci il potere di trasformare le cose
- Celebrando il finale senza rovinarcelo: ci meritiamo di vivere felici e contenti anche per prepararci alla prossima avventura.
E così acquisiremo la consapevolezza che stiamo vivendo la fiaba della nostra vita.
Riprendi quindi le domande alle quali ad inizio articolo ti ho invitato a rispondere e prova ora a riflettere sulle risposte o a trovarne di nuove. Quella fiaba che ti è venuta in mente è molto di più di una semplice storia infantile, quanto meno per te.
“Finisce così, questa favola breve se ne va (se ne va)
Ma aspettate e un’altra ne avrete
C’era una volta il cantafiabe dirà, e un’altra favola comincerà”
Bibliografia
B. Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli, 2013.
J. Campbell, L’eroe dai mille volti, Feltrinelli, 1984.
C.S. Pearson, L’Eroe dentro di noi, Astrolabio, 1990.
V. Propp, Morfologia della Fiaba, Einaudi editore, 2000.