post-title Nanoparticelle e nanopatologie https://sentierodellasalute.com/wp-content/uploads/nanoparticelle.jpg 2015-05-19 18:54:07 yes no Posted by

Nanoparticelle e nanopatologie

L’inquinamento legato alle polveri sottili è sotto l’occhio di tutti, basti pensare alle iniziative che vengono prese per cercare di limitare gli effetti nocivi delle automobili. Molti hanno nelle orecchie il termine PM10, con cui si intende il particolato di dimensione micrometrica, ovvero con diametro medio compreso fra 10 e 1 micron. Attualmente si sa che […]

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L’inquinamento legato alle polveri sottili è sotto l’occhio di tutti, basti pensare alle iniziative che vengono prese per cercare di limitare gli effetti nocivi delle automobili. Molti hanno nelle orecchie il termine PM10, con cui si intende il particolato di dimensione micrometrica, ovvero con diametro medio compreso fra 10 e 1 micron. Attualmente si sa che nell’aria, oltre alle microparticelle, vi sono le nanoparticelle, ovvero polveri di dimensioni che vanno dai centomillesimi di metro giù fino ai centomilionesimi. Anch’esse sembrano giocare un ruolo importante per la salute, tanto è vero che alla fine degli anni 90 venne coniato dalla dottoressa Antonietta Gatti il termine Nanopatologia, ad indicare tutte le malattie provocate da micro e/o nanoparticelle solide, inorganiche, insolubili nell’acqua e nei grassi che entrano nell’organismo.

Una questione centrale è la capacità di ricombinarsi che possiedono queste polveri: avendo una massa piccolissima, si comportano come gas e restano sospese nell’aria. Questo da un canto consente loro di essere trasportate dagli agenti atmosferici, dall’altro fa sì che, in presenza di temperature elevate, vengano a ricombinarsi, creando sostanze diverse da quelle di partenza e non catalogate.

Uno dei problemi delle nanoparticelle è che non seguono le leggi della biologia classica, giacchè sono troppo piccole, ma nemmeno si comportano come ioni, in quanto troppo grosse. Pertanto la loro tossicità è sia chimica che fisica: si tratta di particelle non biodegradabili, né tantomeno biocompatibili e quindi oggetto di diversi tentativi di eliminazione da parte dell’organismo. La mancata rimozione può invece essere causa dell’insorgere di patologie.

Fonti delle nanoparticelle

Le fonti di polveri sono numerose. La Natura è una produttrice di polveri che solitamente non scendono, come dimensioni, al di sotto di alcuni micron e non paiono dotate ti particolare pericolosità. Un caso a sé stante è rappresentato dalle particelle liberate dalle rocce amiantifere, in grado di causare patologie che colpiscono i polmoni e le pleure.

L’attività umana è invece causa di produzione di grandi quantitativi di polveri. Già semplicemente la combustione della legna comporta la dispersione di particelle nell’ambiente. La grande diffusione della combustione con la Prima Rivoluzione Industriale, con lo sfruttamento dell’acqua trasformata in vapore, e con la Seconda Rivoluzione Industriale, con il carbone in grado di far funzionare le macchine industriali, ha fatto sì che l’entità del fenomeno incrementasse drasticamente. I motori a combustione interna (traffico automobilistico, aereo e marittimo), gli impianti di riscaldamento, gli inceneritori di rifiuti, le centrali elettriche a oli pesanti o a carbone, i cementifici sono in assoluto tra i maggiori produttori.

La recente introduzione di prodotti nanotecnologici, che si avvalgono delle proprietà straordinarie delle nanoparticelle ingegnerizzate, vale a dire progettate e prodotte per assolvere a determinati compiti, contribuiscono all’inquinamento ambientale. Un esempio è l’argento utilizzato in certi filati, soprattutto per l’abbigliamento sportivo: con il tempo, con l’usura e con i lavaggi si stacca entrando nell’ambiente.

Di regola le particelle vengono usate  come eccipienti di parecchi medicinali. Talco (silicato idrato di magnesio), bentonite (silicato d’alluminio) e biossido di titanio sono tra gli eccipienti più diffusi in compresse, capsule e, per la bentonite, in sciroppi. Anche in farmaci della medicina tradizionale cinese o orientale in genere è stato rinvenuto del particolato. E pure la medicina non ufficiale in Occidente ne fa uso. È questo il caso dell’argento colloidale, un metallo nanoparticolato sulla cui innocuità vi sono dubbi.

La diffusione industriale è vasta: oltre ai preparati cosmetici, dentifrici, spazzolini da denti, gomme da masticare vendute come adiuvante per la pulizia dentaria e fili interdentali analizzati hanno mostrato il proprio contenuto, quasi sempre denunciato in etichetta, di particelle, ed è inevitabile che quelle polveri siano parzialmente ingerite dagli utilizzatori.

Anche l’alimentazione è ampiamente coinvolta: non di rado la farina contiene particolato metallico proveniente dall’usura delle macine, mentre diversi insaccati lo contengono perché derivato dalle lame usate per tritare la carne. Può inoltre accadere che sia il materiale usato per confezionare e imballare il prodotto ad introdurre particelle.

In alcune circostanze è la preparazione casalinga del cibo ad essere responsabile della presenza di particolato: l’utilizzo di alcuni recipienti di cottura con la superficie interna antiaderente contengono particelle che tendono a staccarsi, entrando così nell’alimento. Un altro utensile che oggi trova un impiego abbastanza largo in cucina è la caraffa filtrante per l’acqua. In alcuni modelli il filtro contiene particelle d’argento che si ritrovano poi nell’acqua filtrata che viene bevuta.

Le acque di scarico, le ricadute atmosferiche e le grandi quantità di rifiuti che vengono scaricate in acqua fanno sì che nemmeno il mare sia esente dall’inquinamento da particelle.

Come entrano le nanoparticelle nell’organismo

Due sono le principali modalità con cui l’uomo entra in contatto con le nanoparticelle: aria e cibo. Il lungo periodo di sospensione fa sì che vengano inspirati oppure, una volta depositatisi al suolo e quindi su erba (e di conseguenza mangiati dagli erbivori), frutta e verdura, entrino a far parte della catena alimentare.

Attraverso le vie respiratorie giungono agli alveoli. Lì vi sono i macrofagi, cellule spazzine dell’organismo, che inglobano le nanoparticelle con l’intento di distruggerle, ma senza riuscirvi, in quanto non sono degradabili. Di conseguenza quando i macrofagi muoiono le particelle permangono nel polmone oppure, date le ridottissime dimensioni, passano senza difficoltà nel sangue, penetrano nei globuli rossi e vengono da loro trasportati nei più disparati tessuti, come fegato, reni, gangli linfatici, cervello…

Quando vengono invece ingeriti con gli alimenti giungono nell’intestino, dove formano particelle inorganiche di 40-50 micron che non vengono dissolte né dall’acqua, né dagli enzimi, né dagli acidi dello stomaco. Quindi rimangono imprigionate nella parete di intestino o stomaco oppure passano nella circolazione.

Non si deve trascurare come ci sia la possibilità che le nanoparticelle penetrino anche attraverso la pelle lesionata, anche in relazione all’uso di particolato in alcune creme cosmetiche. Per ora, però, non ci sono indagini a sufficienza.

Modalità di azione delle nanoparticelle

La caratteristica fondamentale è che, data le ridotte dimensioni, possono entrare all’interno delle cellule superando la parete cellulare ed arrivando al nucleo senza che la cellula se ne accorga e senza che essa perda la sua capacità vitale o di riproduzione ma con il rischio che il suo DNA possa subire delle modifiche.

Inoltre la non biocompatibilità e la non degradabilità delle nanoparticelle fa sì che, quando si accumulino in quantità elevate, l’organismo reagisca creando uno stato infiammatorio costante poiché per esso rappresentano corpi estranei da combattere o quanto meno da tentare di isolare. Questa condizione può non essere evidente dal punto di vista clinico, ma comunque presente. Si ritiene che le nanoparticelle possano essere associate a molte patologie idiopatiche [di causa sconosciuta]. Fattori di rilievo sono il materiale di cui sono fatte, la forma, la velocità di inalazione/ingestione e le quantità accumulate.

A seconda del loro destino finale le particelle possono provocare patologie molto diverse tra loro:

  • nel sangue possono alterare i processi di coagulazione e diventare responsabili di infarti cardiaci, di ictus o di tromboembolie polmonari
  • in tutti gli organi possono essere all’origine delle più disparate varietà di tumori
  • nel pancreas possono indurre diabete di tipo 1
  • nel cervello possono generare condizioni che vanno dall’insonnia all’irritabilità fino all’aggressività, dalla perdita di memoria a breve termine a difficoltà nell’apprendimento
  • la stanchezza cronica è una conseguenza certa della loro presenza nell’organismo
  • tutta una lunga serie di malattie chiamate criptogeniche, rare o orfane, potrebbero essere provocate dalle nanoparticelle
  • per via della loro capacità di passare da madre a feto provocano aborti, malformazioni fetali o tumori nel nascituro
  •  nel liquido seminale causano sterilità maschile e, venendo a contatto con il canale vaginale della partner sessuale, possono causare il Burning Semen Disease (malattia del seme urente) caratterizzata da piaghe sanguinanti, dolorose e intrattabili sia farmacologicamente sia chirurgicamente.

A quanto sembra non esistono meccanismi efficienti a disposizione dell’organismo per liberarsi delle particelle che restano imprigionate nei tessuti, né esistono per il momento farmaci o tecnologie mediche in grado di ovviare al problema.

La scoperta delle nanopatologie

La scoperta delle nanopatologie è squisitamente italiana. Nel 1990 la Dottoressa Antonietta Gatti, nel laboratorio di Biomateriali dell’Università di Modena, riscontrò sulla superficie di rottura di un filtro cavale [presidio medico inserito nella vena cava inferiore per la prevenzione dell’embolia polmonare] dei materiali, come il titanio, che non rientrano nella composizione di questo dispositivo. Lo stesso evento si ripresentò qualche anno dopo. Nel 1997 si trovò a studiare i reperti bioptici epatici e renali di un paziente che da 8 anni soffriva di una febbre intermittente di cui non si riusciva a scoprire la causa. Dai dati di laboratorio risultò che i due organi erano compromessi per la deposizione di materiale ceramico che corrispondeva a quello della protesi dentaria della persona. Dalle indagini si comprese che la protesi era fortemente usurata per via di una cattiva chiusura della bocca e che questo aveva comportato l’ingestione del materiale ceramico di cui era fatta per otto anni .

Da allora sono stati effettuati studi negli archivi dell’Università di Modena e Magonza (Germania) e del Royal Free Hospital di Londra sui campioni bioptici di persone con malattie criptogenetiche di natura infiammatoria, come granulomi e tumori. Il risultato, molto interessante, fu il riscontro di micro- e nanoparticelle all’interno delle lesioni.

Il gruppo di Nanodiagnostics di Modena ha poi volto le proprie ricerche sulle patologie inalatorie delle centinaia di migliaia di persone esposte alle polveri delle esplosioni e del crollo dell’11 settembre 2001. Di fatto si è vista, in questi anni, un’importante incidenza di linfomi non Hodgkin e leucemia, nonché disturbi neurologici (Alzheimer, insonnia, perdita di memoria a breve termine, Parkinson) anche in pazienti insolitamente giovani, e ci si attende che nei prossimi anni si manifesteranno altre problematiche.

Il gruppo di Modena sta anche svolgendo delle ricerche sulle sindromi del Golfo e dei Balcani, che affliggono militari e civili di Iraq ed ex-Jugoslavia. Dagli studi sarebbe emerso che non è tanto la tossicità dell’uranio impoverito, quanto l’inalazione di polveri sottili e sottilissime generate da ogni esplosione ad alte temperature (superiori anche a 3.000°C) a rappresentare la causa principale di tutte le patologie. L’esposizione massiccia, inoltre, avrebbe comportato la rapida manifestazione dei disturbi. Può essere interessante notare come nei campioni bioptici e autoptici relativi alle patologie chiamate impropriamente “da uranio impoverito” siano rilevabili le particelle che il soggetto ha inalato e ingerito senza che invece si trovi uranio o tracce di radioattività. Questo può essere ricondotto ad almeno due motivi: l’uranio del proiettile o della bomba ha un volume talmente piccolo da risultare quasi irrilevante rispetto a quanto viene polverizzato. Inoltre l’uranio, essendo molto pesante (oltre 19 volte il peso specifico dell’acqua), tende a cadere entro un raggio centrato sul punto d’impatto relativamente breve, e ciò gli impedirebbe di combinarsi con altre sostanze e di galleggiare in atmosfera.

Non tutti sono d’accordo

Da alcuni queste teorie emergenti sulle nanoparticelle sono ritenute espressione di quel filone che ha preso avvio negli anni 80 e che tende a demonizzare centinaia di sostanze senza che ci siano sufficienti dati sul nesso causa-effetto. Una delle principali obiezioni mosse è che il fatto che le nanoparticelle vengano riscontrate in alcune lesioni ed in certi tumori non significa che ne siano la causa: potrebbe trattarsi di un semplice riscontro. Oppure potrebbe essere che in alcuni soggetti abbiano un effetto sensibilizzante, ma ciò accade anche per tantissime altre condizioni.

Sicuramente è importante tenere presente come negli ultimi decenni il quantitativo di nanoparticelle cui si è quotidianamente esposti è di gran lunga maggiore che in passato: come si può notare dall’elenco di prodotti in cui sono presenti la diffusione è molto spiccata. Tutto ciò fa si che l’uomo si trovi di fronte a condizioni nuove i cui effetti verranno scoperti solo negli anni.

Altra obiezione mossa è quella che in tal modo si ingenerano grandi paure verso nemici che non si è in grado di combattere. Però, a tal proposito, è anche vero che solamente dalla conoscenza e dalla consapevolezza possono nascere delle strategie di prevenzione e di controllo del fenomeno e che rimanere nell’ignoranza non porta miglioramenti.

Rimangono quindi in sospeso molte questioni inerenti alla giovane disciplina che si occupa di nanopatologie.

Consigli per la vita quotidiana

Gli obiettivi di fondo sono la riduzione della quantità di particolato, da una parte, e provare a difendersi da quello presente, dall’altra. Per apportare dei miglioramenti nella vita di tutti i giorni sarebbero sufficienti piccole accortezze come:

  • coprire con un foglio di plastica frutta e verdura esposte nei negozi sulla strada
  • lavare o pulire con un panno il coltello dopo averlo affilato e prima che il macellaio lo usi per tagliare la carne
  • assicurarsi che i saldatori e i tornitori non entrino in casa con la tuta che hanno usato sul lavoro e che ricorrano a copricapi e mascherine adeguate (non quelle usate negli ospedali) durante la saldatura. Lo stesso andrebbe applicato da parte di chi opera in una fonderia o in un inceneritore di rifiuti.

Il discorso è sicuramente vasto, poiché anche le strade sarebbe idealmente opportuno che non venissero costruite vicino agli inceneritori o a certi insediamenti industriali. Ma, andando a ritroso, si presenta il discorso dell’inquinamento e della sua gestione, con l’utilizzo degli inceneritori stessi.

Essere coscienti di questi rischi, per quanto sconfortante, è l’unica via per sensibilizzare e per aprire la strada alla ricerca di soluzioni sia dal punto di vista medico che dal punto di vista ecologico.

Sitografia:

Bibliografia:

  • Montanari S. e Gatti M. A: Nanopatologie: cause ambientali e possibilità di indagine. Ambiente Risorse Salute 2006; 110: 18-24

 

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