“I giovani di quest’epoca non solo sono immersi nelle app, ma sono giunti a vedere il mondo come un insieme di app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app o forse, in molti casi, come un’unica app che funziona dalla culla alla tomba”. (H. Gardner)
“Un’app o un’applicazione è un software, progettato di solito per funzionare su un dispositivo mobile, che permette all’utente di portare a termine una o più operazioni”.
Ci sono utenti che non hanno bisogno di chiedersi cosa sia un’app, la usano e basta poiché leggono la realtà attraverso una mappa cognitiva all’interno della quale convivono strumenti e servizi che rendono le cose possibili o aiutano a renderle tali. Questi utenti appartengono alla cosiddetta App Generation.
Da sempre si è cercato di dare un nome alle diverse generazioni tentando di classificare i giovani in base alla loro appartenenza politica o a determinati eventi sociali o economici. Per la prima volta compare una generazione che si definisce da sola attraverso la tecnologia: la App Generation, infatti, comprende i giovani d’oggi, adolescenti e tardo adolescenti, che sono cresciuti all’interno di un contesto digitalizzato. Quelli che da bambini erano i “nativi digitali” (termine coniato da M. Prensky nel 2001 per contraddistinguere i giovani nati in epoca digitale dagli “immigrati digitali”, cioè gli adulti) oggi sono persone attive all’interno del mondo scolastico e lavorativo, che si differenziano per aspettative e modalità relazionali rispetto alle generazioni precedenti.
Sono numerose le ricerche in corso che si propongono di analizzare le specificità di questa moderna generazione e soprattutto per determinare se l’esposizione frequente a quasi automatica alle app porti ad una sorta di digitalizzazione delle esperienze nonchè al pensiero illusorio di vivere in una Super-App. Lo studio più citato e autorevole in tal senso è quello condotto da H. Gardner (2014), professore di Scienze cognitive e dell’educazione e Psicologia alla Harward University, e Katie Davis, docente alla Scuola di informatica dell’Università di Washington, dove studia il ruolo delle tecnologie digitali nella vita degli adolescenti.
Quali sono i tratti principali della App Generation?
- Avversione per il rischio: intervistando più di 100 educatori (insegnanti, cousellor, specialisti) Gardner e Co. hanno evidenziato che la App Generation non è raccontata in modo così anticonformista e provocatoria come di solito fanno gli adulti quando gli si chiede loro di parlare dei giovani del proprio tempo. Questo perché i “nativi digitali cresciuti” sono alla ricerca di app che risolvano loro le questioni, meglio se nel minor tempo possibile; nel caso non le trovino sono maggiormente propensi ad abbandonare il compito e a passare ad altro invece di sperimentare soluzioni out of the box. Invece di esplorare, rischiare e sbagliare, in buona sostanza, i giovani d’oggi cercano esattamente ciò che desiderano, e quando lo desiderano, sanno cosa vorranno dopo e quando potranno dirsi di aver completato l’operazione.
- Tratti narcisistici più marcati: la maggior parte dei post sui social network è fatta per ottenere il maggior numero di like. Questo porta gli utenti a realizzare selfie (Approfondisci leggendo Selfie ERGO sum: Research or addiction?) o aggiornare il proprio status nel modo più popolare possibile, subendo in toto il concetto di desiderabilità sociale, che è la tendenza a essere ben voluti e desiderati da parte degli altri. Secondo una recente ricerca di G. Riva e all. i giovani (età media del campione 32 anni) si scattano selfie per: “per sentirsi apprezzati dagli altri” (39%), “per vanità” (30%), “per raccontare un momento della propria vita” (21%), per “divertire/far ridere” (7%), “per sedurre” (3%). Le donne inoltre sono più propense all’autoscatto e soffrono maggiormente la possibilità di non ricevere abbastanza “like”. In generale possiamo affermare che gli appartenenti alla App Generation tendono a standardizzare la propria immagine verso la versione più socialmente accettabile e desiderabile di sé, rischiando poi di non poter mostrare un lato di se stessi diverso o deviante da quello che è ormai consuetudine condividere. In una fase tuttavia del percorso evolutivo come l’adolescenza, durante il quale è fisiologico sperimentare se stessi e giocare con la propria identità, questo implicito obbligo alla coerenza della propria immagine può portare a irrigidire alcuni tratti contribuendo a costruire una personalità istrionica o quantomeno narcisistica.
- Maggiore digital literacy degli adulti : per la prima volta nella storia gli adolescenti e i giovani ne sanno più dei rispettivi genitori quanto a saper utilizzare con consapevolezza e senso critico i digital e social media (leggi di più sulla digital literacy Digital media and social image: we are what we share). La App Generation è una generazione all’interno della quale il sapere orizzontale, quello cioè costruito grazie alla relazione coi pari, è molto più rilevante e presente del sapere verticale, ovvero quello composto dalle conoscenze tramandate dagli adulti di riferimento. Di qui la tendenza quasi frenetica del “condividere” qualsiasi esperienza, dal piatto di pasta al voto all’esame, comportamento che rinforza il legame coi pari, consolida i confini del gruppo e permette la condivisione delle informazioni.
E’ una questione di approccio alla tecnologia
“Tutto ruota intorno al modo di usare la tecnologia e non alla tecnologia in quanto tale. Ci sono quindi aspetti positivi, quando lo strumento digitale promuove un forte senso di identità, favorisce relazioni profonde e stimola la creatività, ed altri negativi, che si manifestano quando la tecnologia diventa la prima e unica risposta alle proprie esigenze, alle proprie domande, alla volontà di comunicare verso l’esterno”. (K. Davis)
Se questi sono i tratti comuni diventa ancora più interessante comprendere qual è l’approccio degli adolescenti e giovani alle tecnologie digitali in modo da evidenziare eventuali rischi in materia di self-empowerment e costruzione delle relazioni.
Cominciamo col dire che i digital media, i social network in particolare (Per un approfondimento guarda anche Social being or be social? Le opportunità e le minacce dei social network), possono impattare su:
- l’identità, nel senso che esercitano una pressione a presentarsi come interessanti e desiderabili, lavorando prettamente sul lato esteriore di sé e inibendo la riflessione introspettiva
- l’intimità, favorendo relazioni meno rischiose e con un maggior controllo emotivo vista la sicurezza dell’avere uno schermo di mezzo. D’altra parte togliendo la vulnerabilità, che è una componente fondamentale per instaurare una relazione vera e intima, si limita anche la possibilità di instaurare legami ad un livello più profondo, aumentando di contro l’interruzione delle relazioni con un semplice “ti tolgo l’amicizia”
- l’immaginazione poichè ogni app dietro all’illusione della personalizzazione definisce intrinsecamente il percorso da far seguire all’utente, e di questo pochi ne sono consapevoli.
Per gli app-dependent (app-dipendenti) digital media e vita reale quasi si sovrappongono e i tre elementi che abbiamo descritto poco sopra diventano importanti aree di rischio. Alcuni giovani programmano la propria vita come se fosse un app, definendo i passi da seguire, condividendo automaticamente ogni frammento delle loro esperienze, sentendosi in dovere di avvisare quando sono “offline”. In altre parole per i app-dependent è forte la convinzione che ci sia un app per tutto e che la tecnologia sia il fine.
Gli app-enabler (app-attivi) intendono invece la tecnologia come mezzo per esplorare nuove possibilità e per potenziare la ricchezza delle esperienze di vita reale. In tal senso gli app-enabler impostano un ragionato distacco dai digital media, li usano quando servono, utilizzando in modo critico le app creando strade alternative o semplicemente facendo log out se non ritengono utile uno strumento.
Questi due approcci non sempre sono il frutto di scelte consapevoli, talvolta derivano anche dall’interazione con un ambiente di dipendenza o contro-dipendenza rispetto alle app. Ad esempio se un adolescente vede quotidianamente i propri genitori dialogare prevalentemente con uno schermo, parlare di cosa qualcuno ha “messo su Facebook”, che mentre guidano seguono pedissequamente una voce estranea fino al ristorante e prima di entrare si fanno un selfie, verrà da sé il comportamento considerato giusto da imitare.
L’educazione alla tecnologia è un argomento che aprirebbe a riflessioni vastissime, che magari concentreremo in un prossimo articolo, per il momento teniamo a mente che gli esseri umani, in quanto animali sociali, sono attratti dal comportamento dei propri simili e tendono a ripetere quello che vedono più di frequente. Il problema, per parlarci chiaro, non è la tecnologia in sé, è l’uso che se ne fa che può modificare radicalmente la nostra vita di relazione e persino la nostra immagine.
L’App Generation sarà probabilmente ricordata come la generazione degli smartphone, di facebook e twitter: ogni giovane tuttavia ha il dovere per se stesso di scegliere come vivere all’interno di questo contesto e di come costruire un sé potente e autentico.
Chiudiamo con alcune domande di riflessione.
Le prime per un lettore appartenente alla App Generation:
- Quanto tempo ed energie dedichi ad aggiornare il tuo status? Cosa ti impedisce di chiamare invece un amico e comunicargli quello a cui stai pensando?
- Quanto un app ti ha aiutato a esplorare nuove possibilità potenziando la tua mente creativa? Se non trovi la risposta prova a chiederti in che senso le app che stai usando possono aiutarti ad esplorare nuove possibilità potenziando la tua mente creativa.
- Cosa non conoscono di te i tuoi contatti? A cosa stai rinunciando?
Le altre per un lettore che vive a contatto con un giovane della App Generation:
- Ci si può affidare alle app per educare? Sono sufficienti?
- Qual è il tuo approccio alla tecnologia? Qual esempio stai trasmettendo?
- Stai insegnando ai tuoi figli la bellezza e la sofferenza della vita o stai aspettando che sia un app a farlo?
“Life is what happens while you are busy making other plans.” John Lennon
Bibliografia
H. Gardner, K. Davis, Generazione App. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Feltrinelli,
G. Riva, Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media, Il Mulino, 2014.
Sitografia:
http://www.amplify.com/viewpoints/howard-gardner-talks-about-the-app-generation