Chi crede che con il denaro si possa fare di tutto è indubbiamente pronto a fare di tutto per il denaro. (H. Beauchesne)
Se solo avessi cento euro in più al mese, se solo guadagnassi abbastanza permettermi quella casa o quell’auto, se vincessi la lotteria….allora sì che sarei felice! Quante volte ci siamo trovati a rimuginare con questi pensieri? Quante volte ci siamo sentiti “relativamente poveri” rispetto ad amici, colleghi, parenti e ci siamo sentiti infelici per questo?
E’ inutile negare che il denaro sia uno strumento necessario per garantire una accettabile qualità della vita e che la sua scarsità comporta le emergenze sociali che conosciamo più o meno direttamente. Tuttavia la questione denaro-felicità è molto più complessa di una relazione direttamente proporzionale per la quale più soldi si possiedono più si è felici. Gli studi da tempo dimostrano che sopra un reddito annuo di 70.000 dollari non esiste un rapporto rilevante tra guadagni e felicità: un aumento di reddito corrisponde ad un aumento della felicità, infatti, solo nelle fasce più povere della popolazione. Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia, afferma inoltre che disporre di più soldi non aumenta la cosiddetta moment to moment happiness, ossia vivere singoli momenti di felicità. Sembrerebbe a questo punto confermato il paradosso di Easterlin o Paradosso della Felicità, dal nome del professore di Economia dell’Università della California che lo coniò nel 1974, secondo il quale all’aumentare del reddito la felicità dell’individuo prima aumenta e poi diminuisce, tornando ai livelli di partenza.
Il denaro non ha ancora mai reso un uomo felice, e né lo farà mai. Non c’è nulla nella sua natura che possa produrre felicità. Più un uomo ne possiede, più ne desidera. Invece di riempire un vuoto, ne crea uno. (Benjamin Franklin)
Questo forse ci consola? Forse non abbastanza per contrastare il fascino seduttivo del denaro.
La cecità cognitiva del pensare al denaro
Scopo di questo articolo (in linea con la filosofia del Sentiero della Salute) è permetterci di riflettere sulla qualità dei nostri pensieri, nell’ottica di un maggior benessere psicologico anche rispetto ad un tema molto concreto, terra terra, come i soldi.
E allora proviamo ad approfondire quali tipi di ragionamento ci induce a comporre il pensiero del denaro.
- Pensare al denaro genera una momentanea gratificazione “i soldi, proprio come un buon pasto o il sesso, attivano nel cervello il centro della ricompensa” afferma J. Zeyringer, conducendo una serie di esperimenti sulla forza motivazionale dello stimolo denaro. Ecco perché fantasticare sulla possibilità di avere più soldi ci consola o quando riceviamo una ricompensa monetaria siamo immediatamente soddisfatti. Questa sensazione di appagamento, tuttavia, non possiamo chiamarla felicità quanto una gratificazione momentanea e vacua.
- Guadagnare più degli altri provoca un’illusoria soddisfazione: il denaro ha soprattutto una funzione sociale di confronto. In un curioso esperimento di L. Tach e G. Firebaugh i ricercatori chiedevano ai partecipanti di scegliere tra due opzioni: uno stipendio annuale di 60.000 dollari confrontato con uno stipendio di 50.000 dollari di un collega con le stesse mansioni, e uno stipendio di 80.000 dollari confrontato ad uno stipendio di 90.000 dollari sempre del collega. La maggioranza degli intervistati ha scelto la prima opzione: anche se razionalmente la seconda ipotesi è più vantaggiosa a livello emotivo la prima provoca una sorta di godimento che supera il concreto di guadagno assoluto. Il continuo confronto con i soldi degli altri innesca nella nostra mente un pericoloso loop: voglio guadagnare più di quell’altro- un altro guadagna più di me- voglio guadagnare più di quell’altro ancora…Questo continuo confronto ci porta, alla fine, ad una sorta di “povertà relativa” poiché ci sarà sempre qualcun altro che avrà qualcosa di più di noi e questa perenne avidità innesca un meccanismo di dipendenza cognitiva nei confronti della corsa al guadagno: meccanismo che apre le porte ad una perenne insoddisfazione. L’elemento cruciale è l’aspettativa: se si sposta sempre più lontano l’obiettivo da raggiungere, nessuna ricchezza ci rende felici e l’euforia per l’aumento del reddito rischia di trasformarsi ben presto in una nuova forma di insoddisfazione.
- Avere a che fare col denaro rende meno cooperativi e generosi: In una ricerca di K. Vohs dell’Università del Minnesota (2006) i partecipanti che erano stati invitati a fare ragionamenti monetari o che avevano maneggiato soldi finti, sottoposti a risolvere un problema e affrontando delle difficoltà, erano meno propensi a chiedere aiuto e anche ad offrirlo. In altre parole chi ha in mente il denaro si sente più indipendente e crede di non aver bisogno degli altri. Inoltre chi possiede più denaro è meno incline ad azioni di generosità e beneficienza.
Sembra quindi che la ricchezza monetaria contribuisca a fare dell’essere umano un soggetto infelice e solo.
Vuoi essere ricco? Non preoccuparti di aumentare la tua ricchezza, ma di diminuire la tua avidità. (Epicuro)
Proviamo a cambiare prospettiva
Se il denaro non ti rende felice, probabilmente non lo spendi bene: questo il titolo di una ricerca di Elizabeth Dunn e Michael Norton (2011). Nel corso della ricerca i volontari potevano disporre di 5 o 20 dollari da utilizzare nel giorno stesso: metà dei partecipanti potevano spendere la somma per sé, gli altri erano invitati a spenderla per qualcun altro. Alla sera ai partecipanti è stato chiesto come avessero utilizzato il denaro ricevuto e come si sentissero: chi aveva avuto l’opportunità di spenderlo per qualcun altro riportava un umore migliore e una maggiore soddisfazione indipendentemente dalla somma spesa.
Ecco allora che facendo i conti nelle proprie tasche, ognuno per sé e senza guardare le tasche altrui, possiamo utilizzare in modo più consapevole le nostre forze monetarie per sentirci maggiormente in equilibrio con noi stessi e con gli altri.
Ecco 5 semplici regole per usare al meglio il denaro senza farsi usare da esso:
- Acquistiamo più esperienze e meno oggetti: ad esempio invece di riempirci la casa con oggetti destinati a prendere polvere possiamo invitare a casa amici e offrire una bella cena.
- Spendiamo per vivere esperienze da condividere: invece di dedicare troppo tempo a selezionare ristoranti o location preoccupiamoci invece di portare con noi chi ci farà star bene in quel posto.
- Compriamo qualcosa che rimarrà nei nostri ricordi: soldi ben spesi sono quelli spesi per qualcosa che rimarrà nella nostra memoria.
- Spendiamo i nostri soldi per qualcosa che sia adatto a noi e che ci piaccia davvero: inutile guardare cosa piace agli altri e rincorrere un’idea di felicità che non ci appartiene, siamo sempre liberi di acquistare quello che davvero ci serve e che davvero ci piace, nessuno ci costringe a comportarci diversamente.
Come poter sintetizzare questa riflessione sull’uso del denaro? Ciascuno probabilmente farà le proprie considerazioni sul proprio approccio e sui propri comportamenti d’acquisto. Credo però che ciascuno possa fare un passo indietro prima di lasciar crescere il desiderio di avere sempre di più e sempre più degli altri, provando a guardarsi intorno per scegliere come maneggiare le risorse a disposizione.
Vi lascio un motto che ho letto o sentito tempo fa e che mi sono permessa di fare un po’ mio: non ho tutto quello che desidero, desidero tutto quello che ho. Questo è quello che mi impegno a dirmi e, come tutte le forme di impegno, richiede energia e fatica.
“All I have is all I need
And it all comes down to you and me
How far away this world becomes
In the harbor of each others arms” (tratto da “All I have” di Beth Chapman)
Bibliografia
- Diener, E., Sandvik, E., Seidlitz, L., Diener, M. (1993). The relationship between income and subjective well-being: Relative or absolute? Social Indicators Research, 28, 195-223.
- Goldwurm, G.F., Baruffi, M., & Colombo, F. (2004), Qualità della vita e benessere psicologico. Aspetti comportamentali e cognitivi del vivere felice., McGraw-Hill, Milano.
- W. Dunn, If money doesn’t make you happy, then you probably aren’t spending it right, in “Journal of Consumer Psychology”, Vol. 21, pp.115-125, 2011.