«In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo
verso la salute o verso la malattia,
come verso tutto il resto» Antifonte
Lo spunto per questo articolo deriva da un’attesa: 3 ore per accedere ad una visita di controllo post-operatoria più un’ora per prenotare il controllo successivo. Il risultato è una mattinata trascorsa in un ospedale lombardo di una certa nomea passando da una sala d’attesa ad un’altra, con la percezione di non poter far nulla per agire sul contesto se non pazientare. Il paziente è colui che pazienta, in effetti. Fa nulla se a pazientare è un ragazzo col setto nasale spaccato e coi genitori che dietro di lui litigano per quel motorino che l’una o l’altro hanno concesso; oppure quel signore entrato in pronto soccorso alle 18.30 del giorno prima che attende disperatamente il suo turno; o anche quel bambino di 5 anni attaccato alle gambe della mamma da due ore per una visita dall’otorino. Volgendo lo sguardo sui loro volti pietrificati dall’attesa mi sono sentita fortunata di sostare in quei corridoi per così relativamente poco tempo e in uno stato di serenità e salute decisamente migliore. Il paziente è colui che patisce oltre ad attendere, sfumatura semantica che mi è sembrata sia stata poco presa in considerazione dalla struttura sanitaria in questione. Soffocando un’inutile polemica sull’organizzazione di quella struttura ospedaliera il trascorrere delle ore è stato per me fonte di profonda riflessione sul sistema di cura del quale disponiamo e sul paradigma ad esso sotteso: la medicina dell’attesa.
Secondo questo paradigma il sistema si mobilita on demand quando emerge una richiesta di cura e in particolare in occasione di un paziente acuto. Coerentemente con l’idea tradizionale di malattia l’intervento di cura medica si concentra in modo mirato sulla parte del corpo malata, con l’obiettivo di neutralizzare i sintomi ed estirpare la patologia. La sanità dell’attesa aspetta che sia il paziente, qui nell’accezione di portatore di sintomi, a richiedere un intervento, obbligandolo poi implicitamente a sottostare allo stesso paradigma: “attendiamo l’esito della TAC, attendiamo lo specialista, attendiamo che il farmaco faccia effetto, attendiamo che la situazione evolva prima di intervenire e così via…”
Quali sono le conseguenze psicologiche di questo meccanismo per l’individuo?
- Passività indotta: l’individuo è portato a reagire a fronte di uno stimolo esterno che lo invita a fare qualcosa per risolvere il suo stato di malattia (“Fai questa visita, prendi questi farmaci, segui questa dieta”).
- Senso di impotenza: attendere l’input dall’esterno, che spesso tarda ad arrivare, porta le persone a non saper cosa fare durante l’attesa. Questo comporta un vissuto di frustrazione da un lato, di eccessiva aspettativa dall’altro. Per un paziente la frustrazione non fa che esacerbare la sofferenza, e il riporre eccessive aspettative nei confronti dell’intervento esterno non fa che idealizzare il possibile risultato, correndo il rischio di incorrere in una prossima delusione.
- Deresponsabilizzazione nei confronti della cura e del proprio benessere: di chi è la colpa se un farmaco o una dieta non funzionano? Di chi è la colpa se la lista d’attesa per la visita specialistica è lunga mesi? Di chi è la colpa se gli ospedali sono sempre pieni? La risposta a queste domande arriva facile e di sicuro non corrisponde al nome di chi l’ha formulata. Attendendo infatti che sia qualcun altro ad occuparsi del nostro stato di malattia è scontato, quasi “eticamente” corretto, attribuirgli l’eventuale insuccesso dei risultati.
Il limite della medicina dell’attesa: le patologie croniche
Siamo difronte ad uno scenario sociale ed economico nel quale il paradigma dell’attesa non riesce a soddisfare le esigenze dei richiedenti, quanto meno non in modo soddisfacente come vorrebbe. Vediamo insieme qualche dato per renderci conto in quale contesto stiamo vivendo:
In Italia un cittadino su tre, nel 2020, avrà più di 60 anni.
In Europa quasi il 60% del carico di malattia è causato da sette fattori di rischio principali:
- ipertensione (12,8%),
- tabagismo (12,3%),
- alcol (10,1%),
- eccesso di colesterolo (8,7%),
- sovrappeso (7,8%),
- scarso consumo di frutta e verdura (4,4%),
- inattività fisica (3,5%).
E questi fattori di rischio comportano l’insorgere di patologie come obesità, diabete, cardiopatie, malattie respiratorie, malattie neurologiche e neurodegenerative, disturbi muscolo-scheletrici. Secondo l’OMS in Europa le malattie croniche provocano almeno l’86% dei decessi. Questo significa che il sistema sanitario deve rispondere ad esigenze di un numero sempre maggiore di anziani che soffrono di patologie croniche. Le malattie croniche hanno un’origine multifattoriale e derivano da interazioni complesse tra gli individui e il loro ambiente, ma anche dalle effettive opportunità di promozione della salute e di riduzione dei principali rischi. Questo tipo di malattie, inoltre, tende anche ad accumularsi a livello individuale, possono cioè coesistere contemporaneamente diverse patologie. Almeno il 35% degli uomini al di sopra dei 60 anni presenta due o più malattie croniche. La medicina dell’attesa, che si attiva a fronte di patologie acute, va in sofferenza nel gestire migliaia di richieste di intervento di gestione di situazioni croniche, ed è naturalmente portata ad attendere che si “scompensino” per poter intervenire. Tuttavia se il numero di acutizzazioni delle patologie croniche supera le risorse necessarie per intervenire siamo punto a capo con l’attesa, e nel frattempo il paziente patisce.
Un possibile cambio di paradigma: la medicina di iniziativa
Un’alternativa al modello di cura attendista esiste ed in alcune regioni italiane è in fase di sperimentazione da qualche anno: la medicina d’iniziativa. Questo termine qualifica un nuovo paradigma di cura che va incontro alle esigenze dei cittadini prima ancora che si presenti la richiesta di intervento o prima che la patologia cronica si acutizzi. Un modello di cura multidisciplinare che valorizza il territorio e opera attraverso un team di specialisti dedicati al benessere dei cittadini (medici, infermieri e operatori sociosanitari, psicologi). La medicina d’iniziativa deriva dal Chronic Care Model (CCM), un modello di assistenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche sviluppato dal professor Ed Wagner e dai suoi colleghi del McColl Insitute for Healthcare Innovation, in California. Il modello propone una serie di cambiamenti a livello dei sistemi sanitari utili a favorire il miglioramento della condizione dei malati cronici e suggerisce un approccio “proattivo” tra il personale sanitario e i pazienti stessi, con questi ultimi che diventano parte integrante del processo assistenziale. Nel 2006 il Ministero della Salute ha proposto un programma dal titolo “New deal della salute” mirato a potenziare il sistema delle cure primarie proprio introducendo questo nuovo approccio alla cura.
In sintesi il cambiamento di paradigma può declinarsi in:
- Si mette la persona, nella sua totalità, al centro del percorso
- Si parla di salute e non di sanità
- Si prende in carico una comunità e non cittadini singoli
- Si attuano programmi condivisi a livello di equipe medica e non individuali per specialista
Nel 2012 il Decreto legge Balduzzi ha rilanciato questo progetto con la denominazione di “Unità Complesse di cure primarie” (UCCP) e da qui alcune regioni italiane, Emilia Romagna e Toscana le più virtuose, hanno iniziato a introdurre nel Piano sanitario regionale progetti per la messa in opera del modello inaugurando le Case della Salute. Le Case della Salute sono infatti strutture sanitarie e socio-sanitarie alle quali il cittadino può accedere per ricevere un supporto primario e specialistico circa una condizione cronica che non richiede il bisogno di recarsi in ospedale. Queste strutture sono anche dedicate alla promozione della salute e alla continuità della cura, fattori davvero cruciali per le patologie croniche. Sul territorio nazionale le strutture attive variano a da regione a regione, così come gli orari di accesso e i servizi offerti. La buona notizia è che qualcosa sta cambiando nel concetto di salute, cura e promozione del benessere; quella cattiva è che non sta cambiando abbastanza in fretta e che il percorso richieste l’investimento di fondi ambiziosi per il nostro paese.
E se agevolare il cambiamento di paradigma dipendesse anche da me?
Chi prende l’iniziativa per cambiare paradigma? Aspettare che sia il sistema a cambiare vorrebbe dire resistere al cambiamento perché di fatto si rimarrebbe in una condizione di attesa. E se invece ciascuno di noi si prendesse davvero cura del proprio benessere? La medicina d’iniziativa pone la persona al centro, non la malattia: ci vuole attivi e responsabili nel prenderci cura di noi stessi, del nostro stato di salute e di malattia.
E allora chiediediti:
Cosa posso fare io per il mio benessere?
Cosa sto facendo per mantenermi in salute? Conosco i fattori di rischio a cui sono maggiormente esposto?
Se soffro di una patologia cronica quanto mi sto tenendo informato sulle sue possibili evoluzioni e su come prevenirle?
L’approccio vincente alla cura corrisponde ad un approccio mentale vincente: se non sono il primo a confidare nelle mie capacità di risposta e di reazione propositiva nei confronti del mio benessere come potranno esserne convinti gli altri che mi prendono in cura? Questo approccio attivo e responsabile nei confronti di se stessi riprende il tema dell’autoefficacia percepita di Bandura che abbiamo approfondito qui.
Da dove cominciare?
- Puoi cominciare a leggere il Sentiero della Salute! Questo blog nasce proprio per promuovere nei lettori una cultura consapevole del proprio benessere, in una logica multidisciplinare e multisfaccettata proprio come è la totalità della persona. Una Casa della Salute virtuale, dinamica ed in continua evoluzione. Eccoti un paio di articoli da leggere o rileggere che possono aiutarti a prendere in mano il tuo benessere: “Obiettivo salute: vivere meglio in quattro mosse”, “Prevenzione dei tumori: i dieci suggerimenti degli esperti”
- Puoi darti degli obiettivi in materia di benessere:
- Su una scala da 1 a 10 quanto mi sento bene oggi?
- Cosa sono disposto a fare per migliorare di un gradino? E di due? E per arrivare al termine della scala?
- Puoi scegliere di fare un’azione oggi e non aspettare domani per stare meglio! La tua salute dipende da quanto ci investi tu per primo, è qualcosa che non puoi permetterti di delegare ad altri o al sistema!
Non si può essere leader e vittima allo stesso tempo: chi si prende la responsabilità della tua salute?
“Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.”
Tratto da “Invictus” di William Ernest Henley