Uno dei temi che oggigiorno richiede molta attenzione da parte di tutti, ma soprattutto attenzione da parte di tutte le scienze, è quello riferito al dibattito filosofico-epistemologico relativo alla cosiddetta “Intelligenza Artificiale”.
La ricerca filosofica ha fin dai suoi inizi indagato con grande attenzione i temi relativi all’attività mentale, con particolare riferimento da un lato all’obiettivo di individuare il come si possa pensare in modo “corretto”, dall’altro al tentativo di definire che cosa costituisca la mente ed in generale l’attività pensante. I due ambiti di indagine sono senza dubbio strettamente connessi: rispondere alla questione del “come” il pensiero operi implica altresì ricercare in “che cosa” esso consista. La logica (che si occupa del “come”) e la gnoseologia (che indaga il “che cosa”) procedono dunque secondo un preciso intreccio: tuttavia, agli evidenti progressi compiuti nel campo della definizione delle modalità del ragionamento si contrappone in un certo senso una nebulosità di prospettive riguardo alla questione dell’essenza dei fenomeni mentali. La ricerca sull’Intelligenza Artificiale rappresenta appunto un tentativo di “diradare” le incertezze relativamente al “che cosa” della mente e del pensiero ed è proprio su questo piano che ha costituito un indubbio stimolo al dibattito filosofico: risulta chiaro quindi che l’IA non può essere ridotta ad una disciplina puramente matematico-ingegneristica, dal momento che i problemi da essa posti e le soluzioni prospettate investono direttamente la ricerca filosofica. Se dunque la riflessione sulla natura della mente è il punto di intersezione fondamentale tra IA e filosofia, sarà opportuno partire dagli obiettivi iniziali della stessa IA, al fine di rilevare l’originaria impostazione di una disciplina che si proporrà come una vera e propria sfida nei confronti del pensiero filosofico e del dibattito epistemologico. Sia il termine che la disciplina nascono nel 1956, in occasione di uno storico seminario interdisciplinare svoltosi al Dartmouth College di Hannover, nel New Hampshire, e promosso da John McCarthy, Marvin Minsky, Nathaniel Rochester e Claude Shannon. Fondamentalmente, l’obiettivo originario dell’IA era quello di imitare o riprodurre, attraverso la costruzione di macchine elettroniche, l’attività mentale umana. (cfr. Sergio Guarente, Filosofia e Intelligenza Artificiale: dal dibattito teorico alle implicazioni pedagogico-didattiche, p. 3.).
Ma è possibile realmente riprodurre le funzioni più importanti della mente attraverso una macchina? Possono le macchine pensare? La risposta a tali domande è arrivata grazie al cosiddetto Test di Turing (dal matematico inglese Alan Mathison Turing), che prevedeva un esaminatore. Tale figura doveva porre delle domande a una persona e a una macchina, con l’obiettivo di ricevere le risposte esclusivamente attraverso messaggi scritti, quindi senza sapere da chi provenivano: se agli occhi dell’esaminatore la macchina si fosse fatta passare per la persona, almeno per un certo tempo, allora si poteva parlare di macchina intelligente. In altri termini, un computer sarà pensante quando i suoi comportamenti saranno giudicati da esseri umani del tutto analoghi a quelli dell’uomo.
In conclusione, quale è realmente il rapporto Uomo – macchina? Siamo sempre consapevoli di saper pensare con la nostra testa?. Senza addentrarci troppo in questo dibattito così teso e ancora molto attuale, soffermiamoci e riflettiamo sul panorama che stiamo vivendo. Guardiamo attentamente con i nostri occhi la società in cui viviamo, le persone, gli ambienti di lavoro e di svago, il nucleo intimo in cui nutriamo sentimenti ed emozioni. Quanto di tutto questo è realmente umano e quanto è prodotto da una macchina? La nostra società sta camminando troppo velocemente verso quella che è definita una “meccanizzazione dell’individuo”, ovvero un processo teso a rendere l’Uomo sempre meno umano e sempre più macchina, che produce, che non pensa, ma che solamente esegue. La nostra missione, invece, è quella di preservare un certo equilibrio che non distrugga le giuste funzionalità della macchina e non cancelli il reale senso di ciascun essere umano, quello di essere nato per pensare. Solamente in questo modo il mondo potrà progredire con idee sempre geniali e rivoluzionarie attuate anche da macchine ben costruite e intelligentemente pensate.
“L’Uomo: essere intelligente superiore, in quanto tale può negare anche l’evidenza” (G. Martufi).