Credo si debba partire dalla fisicità. Non potrà sopraggiungere null’altro, finchè non abbiamo imparato a conoscere il nostro corpo. E, soprattutto, non credo sia fondamentale nient’altro oltre a questo, per iniziare a praticare yoga. Ho avuto l’immensa fortuna di poter imparare da Maestri che il primo accento, da sempre, lo mettono sulle sensazioni fisiche: sulla confortevolezza, sul dolore, sulla tensione, sull’ansia. Da loro, ho ereditato la voglia di mettere le persone che me ne regalino l’opportunità in contatto col proprio corpo, in modo da poter scoprire od approfondire come funzionino proprio grazie a questa sorta di personale mappatura.
Iniziamo quindi proprio da qui: dall’ascolto di noi stessi. Nel corso della prima lezione, chiedo sempre ai presenti di mettersi comodi ad ascoltare il suono del proprio respiro; banalmente, a prestare attenzione al rumore che fa l’aria quando entra e quando esce dalle narici. Così facendo, stiamo meditando; ma se avessi detto “ora ci sediamo sul cuscino a meditare”, qualcuno avrebbe anche potuto avvertire imbarazzo, disagio, malavoglia. E se nulla è più a portata della nostra mano dell’ascolto, altrettanto vero è che null’altro è altrettanto difficile quanto prestare attenzione a noi stessi, e dare a ciò che si fa un nome semplice e rassicurante, a volte, ci mette in una disposizione d’animo più aperta.
Le posizioni (gli asana), sono un altro preziosissimo strumento di conoscenza: sono un mezzo per andare a scovare rigidità che hanno origini molto profonde e motivazioni cha vanno rispettate… Ci danno una sorta di limite oltre il quale possiamo serenamente decidere di non spingerci poiché lo yoga, in alcun modo, dovrebbe essere performance e competizione (ed è il motivo fondamentale per il quale, anche se in maniera altalenante nelle varie epoche storiche, non viene definito uno sport). Ma gli asana ci tengono anche fortemente radicati nel momento presente, atteggiamento mentale alla base della meditazione: per le persone che difficilmente riescono ad uscire dalla costante ed impetuosa corrente dei pensieri, stare a lungo nelle posizioni, specialmente in quelle di equilibrio, può essere un valido appiglio al “qui ed ora”: per tirarci fuori, anche solo il tempo di qualche respiro, dal flusso continuo.
Gli aspetti che volgarmente potremmo definire “spirituali”, relativi alla pratica dello yoga, non dovrebbero divenire demotivanti se non raggiunti e, soprattutto, credo non dovrebbero essere ricercati. Nel momento in cui decidiamo di intraprendere un percorso di consapevolezza, la coscienza inevitabilmente si apre; l’anatomia sottile, il nostro andamento energetico, iniziano ad avere connotati meno sfumati ed avvicinarsi ad essi diventa un’esigenza naturale.
Ma non bisogna avere fretta: stiamo parlando di un cammino dove i passi vengono mossi con lentezza e precisione estreme. Soprattutto, penso che nulla dovrebbe essere anteposto alla conoscenza della nostra corporeità, confine e strumento di comunicazione sia col mondo esterno che con quello interiore: se impariamo a leggerci con onestà, abbiamo anche tutte le risposte alle domande sui noi stessi e, di conseguenza, una delle chiavi di accesso alla nostra salute.