“Il bene primario della società dei consumatori sono i consumatori; i consumatori difettosi sono il suo passivo più irritante e costoso” (Z. Bauman).
La parola “moderno” è ancora oggi un concetto altamente incompreso e spesso offuscato da molte parentesi inutili e illusorie. Quando parliamo di “modernità”, di “progresso”, di “futuro” non pensiamo che, allo stesso tempo e con la stessa pretesa egoistica, stiamo forse correndo un po’ troppo? Ogni periodo storico ha certamente il suo percorso, i suoi obiettivi e le sue mete, ma tutto ciò non deve per nulla farci pensare di essere degli “arrivati”. La consapevolezza di ciò che siamo è importante per capire ciò che vorremo essere. L’uomo moderno è ormai preso in un vortice di “progresso” talmente veloce che questo rischia di renderlo povero e “mancante”. In questa corsa disperata contro tutto e contro niente, l’uomo perde di vista la sua vera identità, vive come se il tempo fosse suo nemico e cancella definitivamente la consapevolezza di essere uomo, e, in quanto tale, capace di andare ben al di là del mero progresso.
In questa prospettiva, l’uomo diventa altresì un “cultore dello scarto”, dove per scarto intendiamo superficialità di selezione, ignoranza di pensiero, povertà interiore, banalità esistenziale. L’uomo moderno ha aperto la strada ad una cultura dello scarto dove tutto e tutti sono scarti, dove chi ha forze vive e chi non ha forze muore. L’efficienza è sempre al primo posto, il narcisismo fisico, psichico e ideale sta alla base del pensiero debole e comune. Si sta perdendo di vista il vero orizzonte della vita, il vero scopo dell’essere umano: vivere per dare senso. Chi abbraccia la cultura dello scarto diventa scarto di conseguenza. Oggi servi, domani no. Ora sei utile, importante e necessario, domani non sei più nessuno. Modernità e scarto stanno per diventare le linee guida di una società ricca materialmente ma povera interiormente.
Che cosa può fare, dunque, l’uomo? Chi è l’uomo? Dove vuole andare? In un mondo dove fa da padrone la cultura dell’irenismo, dove tutto si può fare e provare, l’uomo è chiamato a recuperare quei valori necessari per rientrare in se stesso e guardare il mondo con occhi decisamente diversi. Deve sforzarsi di uscire dall’ottica del “rifiuto” per buttarsi nella più alta dimensione del “sacro” e del prezioso.
Nel suo importante lavoro “Vite di scarto”, il filosofo Zygmunt Bauman ci aiuta a riflettere ulteriormente su questa urgente dinamica: “Gli oggetti non sono più fatti per durare e per servirci a lungo: in questo stadio “avanzato” dell’economia di mercato tutto concorre a spingerci a sostituire il vecchio con il nuovo, sempre più rapidamente, perché è il nuovo che promette maggiore soddisfazione e l’appagamento, almeno momentaneo, dei nostri desideri. Il lato oscuro di questa incessante sete di novità è rappresentato dal vecchio che deve essere eliminato, non soltanto fisicamente, ma anche dal nostro cospetto. Non vogliamo più vedere gli scarti di quello che un tempo era così alla moda. I rifiuti sono il simbolo di questa accelerazione dei tempi, oltre che il loro scarto, e rappresentano ciò che a tutti i costi vogliamo rimuovere, fino a dimenticarcene”.
Ecco, dunque, spiegato il senso di ciò che oggi definiamo “modernità” e “cultura dello scarto”. In questo mondo che per certe sfumature si mostra terrificante, si nasconde una speranza di novità, dove per nuovo intendiamo la capacità dell’uomo di pensare. Attraverso il pensiero si può combattere l’ignoranza fittizia che annebbia il nostro intimo e si può costruire pienezza. Attraverso il pensiero possiamo trasformare lo scarto e il rifiuto in qualcosa di sacro e utile. Solo così diventeremo veri uomini e donne capaci di guardare oltre, impegnati a vivere invece che sopravvivere.