Solo quando l’uomo impara la ricchezza della solitudine allora può dirsi “uomo”, perché nella solitudine riscopre se stesso e la grandezza della sua interiorità. In questo mondo sempre più confuso e pieno di qualsiasi tipo di stimolo, esperienza, situazione, ci accorgiamo di come siamo sempre più in contatto con tutti e sempre meno con noi stessi. Perché tutto questo? Perché possediamo in una mano il mondo, virtuale e immediato, e nell’altra noi stessi, spesso disorientati e vuoti? “Perché”: partiamo proprio da questa classica e potente domanda filosofica con cui ha inizio ogni ricerca e che ci permette di camminare per le vie del pensiero puro, pulito, reale e autentico.
Socrate, uno dei più importanti filosofi antichi e padre fondatore dell’etica e della filosofia morale, diceva che lo scopo della filosofia era quello di aiutare l’uomo a venire in chiaro a se stesso, portarlo al riconoscimento dei suoi limiti e renderlo giusto, cioè solidale con gli altri. Perciò egli prese come suo motto ciò che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, e cioè “GNOTI SAUTON” , “conosci te stesso“, ossia: riconosci in primo luogo quello che sei, e cioè un uomo, per cui un abisso ti separa dal divino!. Attraverso questo umile atteggiamento l’uomo può mettersi in cammino verso la verità. La ricerca della verità è, al tempo stesso, la ricerca del vero sapere e del modo migliore di vivere. Infatti l’uomo non può che tendere a scoprire quello che è e quello che deve fare per vivere nel modo migliore. Ma questo vuol dire che colui che conoscesse il bene, dovrebbe agire di conseguenza e vivere secondo virtù. Si tratta soltanto di sapere che cosa è veramente il bene. Che cosa è, dunque, il bene per l’uomo? Il bene per l’uomo è ciò che fa sì che egli diventi quello che la sua natura più profonda esige. Se io rifletto, potrò giungere a scoprirlo, per cui è proprio il sapere, la conoscenza, che permette all’uomo di conoscere se stesso e quindi di conoscere qual è il modo più adatto per vivere felice. Conoscere se stessi non significa solo imparare a percepirsi come essenze limitate e chiamate alla “conversione”, intesa come cambiamento di vita, bensì significa anche conoscere la propria anima, la propria interiorità, il proprio carattere. In questo Socrate ci è di grande esempio, colui che per primo si batté fino alla morte per tenere alta la bandiera dell’uomo “buono”, dell’uomo che agisce e vive con giustizia in un’orizzonte di verità.
Spesso non ci accorgiamo dell’enorme ondata di disorientamento con cui conviviamo quotidianamente. Sì, siamo perfettamente consapevoli che viviamo in un mondo in continua trasformazione non solo tecnologica ma anche sociale e relazionale, però non apriamo sempre gli occhi per vedere dove stiamo andando. Abbiamo l’urgente bisogno di rientrare in noi stessi, per salvare ciò che di noi è davvero importante. Dobbiamo preoccuparci di avere più cura della nostra interiorità, del nostro pensiero, dei nostri sentimenti, per evitare qualsiasi tipo di “omologazione” e “meccanicismo intellettuale”. Detto in altre parole, siamo chiamati a valorizzare la nostra essenza, e non tanto la nostra apparenza.
Sherry Turckle, docente di Sociologia della Scienza al Mit di Boston, che nel suo nuovo libro “Insieme ma soli” torna a occuparsi delle conseguenze emotive dell’uso del computer, sottolinea fortemente la condizione dell’uomo moderno, sempre più connesso ma solo. “Un robot di plastica dall’aspetto sensuale con sei diverse personalità. Conquista perché risponde a tutti i gusti. Fidanzati conosciuti sulle chat e amici su Facebook ai quali non riusciamo a rivelare nulla di noi. Sms, tweet, mail. Centinaia di messaggi che ci raggiungono ovunque anche per questioni di lavoro. Siamo connessi in ogni momento della giornata, sempre in contatto con qualcuno, fino a sentirci soli. Dietro l’illusione di una maggiore comunicazione, c’è la realtà e l’isolamento. E così il computer, ma anche il robot che dovrebbe assisterci ogni giorno, ci rende più aridi e finisce per escluderci dai veri affetti”. Raccogliendo decine di storie di adolescenti dipendenti da Facebook, adulti distratti e anziani affidati alle cure di robot, la psicologa racconta come pc e cellulari abbiano cambiato i rapporti umani. “Non è un libro sulla tecnologia, ma sulla nostra progressiva perdita di autonomia”.
La tecnologia affascina in ogni suo aspetto, ma allo stesso tempo, in modo del tutto nascosto e irreale, rende gli individui schiavi, vulnerabili, pieni di paura di fronte all’intimità. Dobbiamo imparare a cambiare. Dobbiamo farlo. Dobbiamo riuscirci. Non possiamo avere paura di noi stessi, dei nostri rapporti veri e autentici costruiti con fatica ma realmente vivi. Non dobbiamo avere paura del nostro riscoprirci “nudi”, della nostra intimità che ci apre ad un amore vero e sentito. Non dobbiamo cedere ogni volta alla droga della tecnologia che de-personalizza qualsiasi pensiero rendendolo vuoto.
Facciamo nostro l’invito aristotelico: “In medio stat virtus”, nel mezzo sta la virtù, cioè l’equilibrio. Impariamo a dare equilibrio, tempo e spazio a noi stessi, prendendoci del tempo per stare da soli, per sorridere, riflettere, amare, vivere come se nulla di artificiale ci condizionasse. Abbiamo bisogno di semplicità e di essenzialità. Se impareremo a riscoprire questi valori allora riaccenderemo sicuramente il fuoco della passione di vivere, quella fiamma che da senso a tutto e cancella “l’inutile tutto”.